<< Quando consideriamo San Benedetto e la tradizione monastica che, partendo da lui, si è sviluppata lungo i secoli, l’immagine che viene in mente è quella di un grande albero, un albero quasi mitico. Le radici sono profonde, i rami hanno un’estensione notevole, le foglie sono sempre verdi, il frutto è abbondante. Quest’albero, però, ha sperimentato molte crisi nella sua vita: è stato incendiato, tagliato più di una volta, e ogni tanto marcisce da dentro quando la linfa vitale non arriva più al punto debole. Di solito, quando parliamo di San Benedetto, ammirando il suo contributo alla civiltà occidentale, rimaniamo sulla superficie delle cose, limitandoci un pò ai luoghi comuni. Vediamo soltanto i frutti, o le foglie dell’albero, ma non ci fermiamo a chiederci da dove viene questa straordinaria vitalità? >>. Questo l’esordio di Padre Cassian FOLSOM (nella foto), OSB, Priore del monastero benedettino di Norcia “Maria Sedes Sapientiae”, introducendo l’incontro svoltosi presso la Sala Blu di Palazzo GAZZOLI, in occasione degli “Eventi Valentiniani 2015” e concluso con un concerto del Coro "San Benedetto - Città di Norcia”, con un programma di musica polifonica sacra e profana, antica e moderna.
Il titolo dell’incontro era molto suggestivo: “San Benedetto ha incontrato San Valentino” (la cui ricorrenza cade significativamente il 14 febbraio, giorno della memoria dei Ss. Cirillo e Metodio, compatroni d’Europa insieme al Santo di Norcia), portando con sé, come sempre, i suoi caratteri distintivi e la sua missione. Padre FOLSOM ha incentrato la sua relazione sui tre titoli con cui, nell’ottobre 1964, Papa Paolo VI ha proclamato San Benedetto Patrono d’Europa: “Messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà”. Perché ricorre continuamente il bisogno e la necessità di ricordare ciò che fu proclamato ben cinquant’anni fa? Perché oggi, come e più di allora, la vita individuale e collettiva ha bisogno di capire di quale pace, di quale unione e di quale civiltà ha bisogno. << La pace - ha detto Padre FOLSOM - la pace benedettina, non è politica, o meglio: egli, che ha avuto contatti con i regnanti e i governatori del suo tempo, ha prodotto certamente positivi effetti sociopolitici, ma appunto effetti: la pax benedettina non è una causa, ma una conseguenza. La causa del raggiunto stato di pace non è nemmeno un fare diplomatico: egli non era diplomatico affatto, anzi, era molto deciso e diretto e non usava mezzi termini o mezze azioni per raggiungere un obiettivo. La causa potrebbe essere uno stato e un’azione di pace spirituale: “Stà lontano dal male e fà il bene”, specialmente nei confronti dei fratelli. Ma questa non è ancora una causa: questo è ancora un effetto. Causa prima di tutto l’essere e l’agire benedettino è la motivazione principale e il fondamento assoluto di tutta la sua costruzione, storica e umana: “Nulla anteporre all’amore di Cristo”, vedendo Cristo nel prossimo. Ecco, allora, che egli diventa il “realizzatore di unione”. Oggi è questo il connotato che manca in ogni rapporto e costruzione umana, politica e sociale: l’unità. Ma è significativo pensare che mai la parola “unitas” viene usata nella Regola, anzi: anche in questo Benedetto da Norcia costituisce una caso unico e originale. Egli, infatti, fece proprio della diversità il mezzo per raggiungere l’unione: egli accolse in monastero ogni tipo di persone, nobili, schiavi, barbari. Non c’era affatto nelle comunità monastiche quella che oggi definiamo, come parametro essenziale e indicatore di qualità delle organizzazioni, una “selezione all’ingresso”. Come ha fatto, dunque, a raggiungere un’evidente e piena unità partendo da tali basi? Ancora una volta - ha proseguito Padre Cassian - la base è spirituale (…) L’unità è basata non su sentimenti di buona volontà (i quali sono sempre precari), ma sulla verità spirituale che, agli occhi di Dio, siamo tutti uguali”. La buona volontà, “il buon zelo dei monaci”, diremmo con le parole della Regola, produce altresì un’”unità affettiva”, cioè una particolare armonia fra diversi, come diversi, ma armonizzati, sono oggi tutti i monasteri benedettini riuniti in confederazione. Quale la civiltà, infine, effetto finale di questi atteggiamenti, individuali e comunitari? Il termine “cultura” deriva del verbo latino colere, che ha sensi diversi creando una parentela di significati molto suggestiva. Il primo significato è la coltivazione della terra, un significato esteso alla “cura verso qualcosa”: la cura verso gli dei, o il culto, aveva sempre avuto un ruolo importante in tutte le grandi civiltà. La cura verso il creato e l’opera attraverso la quale l’uomo lo trasforma costituiscono elementi importanti nella formazione della cultura, nella quale la ricerca della bellezza ha sempre un ruolo di grande priorità. La coltivazione, il culto e la cultura formano un insieme che solleva lo spirito dell’uomo al trascendente >>. Le basi culturali della Regola di San Benedetto sono molte e diverse fra loro: anzitutto, i monaci devono imparare a leggere, ma prima devono saper allevare le pecore poiché per creare i libri ci vuole la carta pergamena; accanto a ciò, devono svolgere anche lavori manuali affinché la mente non si disperda e abbandoni; infine, ma non certo da ultimo, debbono saper coltivare, nel più concreto senso del termine, la terra poiché il monastero è indipendente in tutto, anche nel sostentamento alimentare. E cercare la bellezza. E’ un albero con molte fronde, quello di San Benedetto: è una cultura nel senso più ampio quella che promuove e il “grande albero”, con radici profonde già da 1500 anni, ha bisogno di linfa continua. << Qual è la linfa che nutre l’albero? - ha concluso Padre Cassian. E’ una linfa essenzialmente e inizialmente spirituale: nulla anteporre all’amore di Cristo >>. San Benedetto ha incontrato San Valentino sul terreno che, a livello sociale e popolare, a quest’ultimo è più proprio. Ma in un amore che tutto trasforma, che ama e diffonde cultura, bellezza e civiltà. << Se manca la linfa, l’albero si secca, i monasteri diventano musei dove non si sentono più le voci dei monaci che esprimono ed elevano il bel canto >> e l’intera società è un po’ più povera, anzi, molto più povera di tanti anni fa, quando forse l’amore era meno pubblicizzato e commercializzato, ma l’amore monastico permeava davvero di sé tutta la civiltà.