di Gianfranco PARIS

Ho ascoltato con molta attenzione, sempre grazie alla benemerita MEP Radio, l’intervento del collega Giuseppe RINALDI (nella foto) al convegno di Accumoli sulla politica della montagna. Nel ringraziarlo della benevola citazione della mia modesta persona diretta a rendere manifesta la sua non ostilità nei miei riguardi per quanto vado sostenendo in relazione alla prossima istituzione delle macroregioni, approfitto dell’occasione per precisare ancor meglio il mio pensiero in proposito. RINALDI da tempo va sostenendo che la Provincia di Rieti, dopo la soppressione dell’Ente Provincia, deve rimanere unita. Basta cambiare il nome da Provincia ad Area Vasta, come nel caso delle famose insegne dei Sali e Tabacchi. Egli attraverso i suoi interventi dimostra di avere chiare le idee sul perché, durante i settanta anni della sua vita, la Provincia di Rieti, anziché migliorare le condizioni del suo territorio e dei suoi abitanti, le ha peggiorate. Lo dice apertamente quando elenca tutti i difetti e le cose che si sarebbero dovute fare, ma che non si sono fatte. Sono tutte cose vere e non capisco come egli possa pensare che oggi, senza un mutamento profondo della gestione amministrativa del nostro territorio ma restando solo uniti, si possa risalire la china, e quando afferma che una Provincia, nata per compiacere gli agrari reatini amici del Duce nel 1927 mettendo insieme un pezzo di Abruzzo, di Umbria e di ex Patrimonio di San Pietro, non si sia mai realmente amalgamata.

 

Uno dei motivi principali che hanno impedito lo sviluppo del nostro territorio, specie dopo la nascita della Repubblica Italiana, è la sua disomogeneità rispetto alle esigenze della metropoli romana. L’appartenenza della Provincia di Rieti al Lazio, specie dopo la nascita delle Regioni a statuto ordinario, ha reso ancor più grave questa disomogeneità creando un profondo squilibrio economico. Io c’ero nel 1970 quando nacque la Regione Lazio, ero un dirigente politico regionale del PRI di Ugo LA MALFA. Pubblicai in quell’epoca una serie di articoli sulla Voce Repubblicana, che possono essere rispolverati dalla collezione in biblioteca, nei quali avvertivo che quella era l’occasione storica che capitava alla nuova classe politica regionale per eliminare quegli squilibri territoriali che si erano già accentuati a causa della politica insufficiente dello stato centrale nei riguardi delle zone periferiche. La Regione, che avrebbe dovuto essere più vicina ai cittadini, avrebbe sostituito lo Stato lontano e avrebbe dovuto produrre quei benefici effetti che erano mancati finora all’appello. Questa politica, caro RINALDI, la Regione Lazio non l’ha mai messa in atto perché hanno prevalso gli interessi della megalopoli romana che ha assorbito quasi tutte le risorse a disposizione dal 1970 ad oggi. E a nulla sono valsi gli sporadici interventi a pioggia distribuiti nel nostro territorio, spesso legati ad esigenze di sottogoverno, che non hanno provocato nessun beneficio concreto, ma solo   arricchito i pochi beneficiati dai relativi progetti e appalti.

Tu queste cose le sai bene perché sei stato Sindaco di Poggio Mirteto per dieci anni, Assessore alla Provincia più o meno per lo stesso tempo ed ora Presidente di una Provincia che non c’è più da tempo perché non ci sono più le condizioni per la sua esistenza. Ora Tu pensi che la rinascita possa avvenire solo cambiando le insegne, come nel caso dei Sali e Tabacchi di savoiarda memoria, cioè cambiando il nome dell’Ente locale Provincia e chiamandolo Area vasta, alla condizione indispensabile di rimanere uniti nello stesso territorio del 1927, anno della sua istituzione. Per Te il termine Area vasta è una specie di Totem, un “deus ex machina” risolutore di natura fideististica perché neanche Tu sai che cosa sarà questa Area vasta, come non lo sa nessuno di quelli che hanno scritto questa espressione nel testo di legge di riforma costituzionale. Un giorno ho ascoltato ad un convegno a Terni una di coloro che hanno collaborato alla stesura di quella legge che non sapeva nemmeno Lei di che si trattasse in realtà, o comunque non lo sapeva spiegare perché ricorreva sempre ad espressioni generiche e possibiliste.  Il problema, caro RINALDI, non è quello di tenere in vita il territorio ad ogni costo, ma è quello di riequilibrare il territorio della Sabina in armonia con i territori limitrofi che hanno le stesse caratteristiche economiche e sociali. Diventando Area vasta e dipendendo dall’Area metropolitana di Roma si va esattamente nella direzione opposta. Io capisco che i paesi della Bassa Sabina, nelle condizioni odierne, si sentano più attratti da Roma, di cui sono diventati loro malgrado periferia, che da una possibile regione centrale appenninica di cui facciano parte l’attuale Umbria. la Toscana, Viterbo e Rieti.

So anche che la Regione Lazio, se vince il SI al referendum,  pensa a due aggregazioni di comuni per la ex Provincia di Rieti. Una per la Bassa Sabina con epicentro Poggio Mirteto ed una per l’Alta Sabina con epicentro Rieti. Se per la Bassa Sabina entrare a far parte delle borgate romane può essere accettato essendo ormai diventata una zona di residenza che poggia la sua economia sull’Area Metropolitana di Roma, l’Alta Sabina non può accettare di diventare area di borgatari. Tutta la zona appenninica della Sabina non ha niente da spartire con l’economia romana, ha bisogno di essere inserita in una politica di sviluppo omogenea ai territori di nord-ovest che guardano all’Umbria e alla Tuscia e che sono i suoi naturali partner di sviluppo. Pensarla inserita in un’Area vasta che guarda solo a Roma e da essa dipenda per il suo sviluppo economico significa dare il colpo di grazia definitivo al suo futuro e ridurla a luogo di residenza di pensionati e di benestanti, come purtroppo è già quasi diventata. C’è nel Tuo pensiero una profonda contraddizione tra quel che dici nei Tuoi interventi e le conclusioni che ne ricavi. Se riconosci che gli abitanti della ex Provincia di Rieti non si sono mai amalgamati, e questo è stato certamente un elemento di grave ostacolo allo sviluppo, non puoi sostenere che dobbiamo rimanere uniti ad ogni costo, pena il cataclisma. Così facendo non usciremo mai dal “cul de sac" nel quale siamo stati infilati da una politica scriteriata.

Con immutata stima.