di Gianfranco PARIS
E' a tutti noto che l'IACP ha svolto per decenni la lodevole funzione di costruire case da mettere a disposizione dei ceti meno abbienti. Nel 2003, all'inizio del terzo millennio, la fantasia della nostra classe politica decise che quanto fatto fino ad allora da quelli della prima Repubblica andasse cambiato in meglio, bisognava adeguarsi ai tempi, fare le cose con mentalità aziendale, uscire in altre parole dal dilettantismo dell'assistenza, mettere al servizio della collettività dei veri e propri manager capaci di pensare in grande procurando non solo assistenza ma anche utili alla società. Nacque così l'ATER, non più istituto, ma azienda, una parola più adeguata alle intenzioni proclamate dal legislatore. Ora è a tutti noto che un'azienda autonoma di natura privatistica come l'ATER, che per raggiungere i suoi obbiettivi deve attingere a denari pubblici, avrebbe avuto bisogno della guida di manager di esperienza nel settore capaci di realizzare in concreto le intenzioni proclamate. Ma ahimé la scelta del Consiglio di Amministrazione cadde subito su persone che tutto avevano, meno che esperienza di gestione manageriale di impresa edilizia. Si trattò per lo più di uomini che venivano da esperienza politica locale, magari rimasti fuori dal giro degli eletti, o comunque molto attivi nelle campagne elettorali a favore di coloro dai quali dipendeva la loro nomina a consiglieri di amministrazione. Gente che per favorire la loro scelta in qualche caso erano transitati da un partito all'altro, per poi tornare al cambio di potere alla vecchia casacca. Ve ne era per verità solo uno che proveniva da un settore collegato indirettamente all'edilizia che si occupava professionalmente di vendita e acquisto di case e che fu nominato vice presidente. Gli altri avevano masticato fino ad allora solo di politica. I nomi dei membri di tale Consiglio di Amministrazione li ho scritti nella prima parte di questa mia inchiesta e non conta riscriverli, del resto tutti li sanno.
E' con questa squadra che l'ATER di Rieti si appresta ad intraprendere l'ambizioso compito di mettere l'azienda sul “mercato” dell'immobiliare. E mercato è la parola giusta perché, come vedremo, di questo si è trattato in realtà. Infatti, la prima scelta del CdA riguarda proprio il cambio di strategia complessiva dell'attività dell'azienda. Si passa dal costruire e gestire dei vecchi istituti delle case popolari all'acquisto e vendita di fabbricati e terreni pubblici e privati sul mercato degli immobili da destinare ad abitazioni. E siccome i soldi per fare programmi ambiziosi non arrivano più da finanziamenti pubblici nazionali, regionali o locali (non ci sono più per le ragioni a tutti note) e nemmeno dall'Europa è lecito attendersi qualche cosa, si vendono i beni di casa per fare cassa. Ciò è anche reso ancor più necessario dal fatto che, ancor prima di svolgere attività concreta, viene raddoppiato il personale dell'azienda che da 27 unità passa a 50. C'è da sistemare coloro che hanno contribuito alla campagna elettorale dei padroni del vapore del momento ed è giocoforza che il consiglio di amministrazione si adoperi per ringraziare chi ha consentito la loro nomina. Qualsiasi azienda privata, prima di raddoppiare il personale, avrebbe aspettato di vincere appalti o comunque di avere a disposizione i fondi necessari per un programma a lunga scadenza. All'ATER di Rieti invece no, si raddoppia il personale ancor prima che si capisca quali sono le possibilità concrete di realizzare case e con quali soldi e per pagarlo si vendono gli immobili del centro storico reatino che erano stati acquistati dall'IACP per essere ristrutturati e messi in gestione in Via Severi e in Via della Verdura e il Palazzo Sbraccia a Poggio Mirteto, come era stato già sperimentato in Via Sant'Agnese dalla vecchia amministrazione che, invece di essere messo in gestione, come vedremo è stato anch'esso venduto da poco per fare cassa. Ma non basta, siccome bisogna incrementare le entrate perché non si sopravvive, si decide un nuovo settore che viene chiamato della gestione del patrimonio e della manutenzione. Per questo si trasferisce una parte nella struttura nella sede dell'ASI presieduta da Andrea Ferroni, sodale politico di Melilli al quale va riferita la nomina della maggioranza dei membri del CdA. L'ASI ha dei locali dai quali può ricavare un'entrata e l'ATER volentieri, vista l'abbondanza di risorse, paga “pigione”, come si dice a Rieti. Ma ahimé la posizione è scomoda. Gli inquilini per recarsi all'ASI debbono perdere mezza giornata, i dipendenti debbono continuamente spostarsi. Così alcuni impiegati presto, pur assegnati al settore, tornano ad operare nella vecchia sede. Quelli che operano stabilmente all'ASI sono 6-7 mentre si paga pigione per 200 mq di locali. Non si può dire che i poverini stessero stretti! Per rendere agibile questa sede si spendono 70-80 mila euro. Ma le promesse strombazzate con le conferenze stampa di servizi ai condomini dei palazzi gestiti dall'Azienda non vengono mai attivati come la pulizia, il giardinaggio, la gestione manutentiva ordinaria. Intanto le risorse scemano, né si vedono all'orizzonte soldi per continuare a pensare in grande, e la fantasia del CdA si esercita nello affidarsi alla revisione degli organigrammi aziendali. Se ne succedono ben 5. Ma le buone intenzioni vengono sopraffatte dalle esigenze del più sfacciato sottogoverno. Ogni nuova idea di ristrutturazione, dati i continui insuccessi delle idee proposte, è finalizzata più che al successo degli scopi dell'azienda alla carriera dei protetti. E' con queste continue revisioni degli organigrammi che la professionalità viene mortificata a vantaggio della appartenenza al colore politico e all'amicizia personale, così accade che gli ultimi arrivati, quelli del raddoppio del personale, passano avanti a coloro che lavorano in azienda da una vita! E tutto questo avviene nel più assordante silenzio dei sindacati, come ho descritto nella prima parte di questa inchiesta.
... continua