di Gianfranco PARIS
Sono iscritto all'Albo dei pubblicisti dal 1968 e durante tutti questi anni ho conosciuto da vicino la problematica del settore. Questo Albo aveva lo scopo di regolamentare l'attività di tutti coloro che si dedicavano al giornalismo senza farlo con continuità professionale e per fornire ai giovani una palestra prima di avventurarsi nel giornalismo professionale. Ho pagato per tutti questi anni una quota di iscrizione e sostanzialmente non ne ho ricavato un bel nulla, per verità i primi anni ho usufruito di qualche facilitazione nei trasporti e di qualche convenzione per acquisti, poi più niente. Si parlò per anni di una cassa pensioni, ma non se ne è fatto niente. Non ho partecipato più alle assemblee annuali perché servivano solo ad eleggere una ristretta cerchia di persone, sempre le stesse, destinatarie uniche della gestione dello ammontare delle quote sociali, che è del tutto rispettabile per l'aumento spropositato di iscritti ignari di quel che li aspettava. Ieri ho ascoltato una lunga perorazione del presidente dell'Ordine dei Giornalisti italiani, fatta davanti al Presidente del Consiglio MONTI prima della conferenza stampa di fine anno, nella quale cercava di convincere il capo del Governo ad evitare che la ventilata onda di liberalizzazioni si abbattesse anche sull'Ordine dei giornalisti. E, a conclusione del suo intervento, ha consegnato allo stesso la tessera onoraria di giornalista come premio per aver svolto per tanti anni l'attività di pubblicista. Come a dire: “ ora sei anche tu dei nostri!”.
Una furbata all'italiana di fronte alla quale Mario MONTI ha mostrato l'abituale fair play ringraziando dell'onore concesso. Allora sarà bene invece ricordare, se non a MONTI almeno a noi stessi, alcune cose che invece dimostrano come l'abolizione degli ordini professionali in genere e quella dell'albo dei giornalisti in particolare sia invece opportuna e possa recare giovamento al rilancio dell'economia del paese. Limitiamoci al settore giornalistico. L'Albo dei giornalisti professionisti serve a mantenere ben saldo in mano ai fortunati che vi sono iscritti il controllo della professione, i nuovi ingressi sono regolati con il contagocce, così come lo sono tutti gli ingressi negli altri albi, con esami che somigliano al gioco della roulette e soprattutto per mantenere il controllo del lavoro giovanile che ne è succube e soggetto a molteplici ricatti. Oggi un giovane che voglia fare il giornalista in Italia o proviene da famiglie di giornalisti o proviene dal mondo della politica o è un fortunato come Saviano che ha azzeccato il suo primo libro e allora tutte le porte si sono aperte. La massa deve accontentarsi di fare il gregario al servizio dei capi redattori o alimentare le redazione delle pagine locali in provincia per quattro soldi. Ci sono casi per i quali gli articoli vengono retribuiti a 2 euro a pezzo. Il sistema è alimentato da editori che non sono imprenditori della informazione, ma che sono diventati proprietari delle testate per controllarne il campo di diffusione a favore della propria azienda e per costituirsi un'arma di pressione lobbistica. La politica ci fa a mezzo perché con una legge scellerata regala milioni di euro ai giornali nazionali, mentre è negata qualsiasi forma di stimolo alla stampa cosiddetta locale, ivi inclusi quelli di partito, intendendosi per partito ogni deputato che inventi una nuova sigla e di conseguenza un nuovo giornale. I giornalisti di professione stanno zitti perché quei milioni servono a pagare i loro lauti stipendi, perché gli stipendi dei giornalisti professionisti sono veramente lauti, mentre la libertà di informazione si è tramutata in libertà di asservimento. Basta leggere appena qualche riga di qualsiasi giornale per accorgersene. Il nome di casta deriva da questa situazione reale che ha trasformato il giornalismo alla stessa stregua del giornalismo consentito da MUSSOLINI, con la differenza che di MUSSOLINI oggi in Italia ce ne sono molti. Usano strumenti diversi, ma il risultato non cambia. L'origine di tutto questo sta nell'Ordine professionale che si autotutela a favore dei soli iscritti alla casta mantenendoli in una condizione dorata a scapito degli interessi della collettività per tutelare la quale sarebbe invece necessario favorire il ricambio e la qualità consentendo la concorrenza. Oggi non solo non c'è concorrenza tra i giornalisti, come non c'è tra i notai, i farmacisti ecc..ma non c'è nemmeno tra le testate perché i sistema dei finanziamenti pubblici consente solo ai politici di fondare nuovi giornali, i quali per loro stessa natura non possono essere che strumenti di parte con grave danno per la qualità dell'informazione. Parlare di queste cose oggi è un tabù perché tutte le forze politiche beneficiano del sistema e solo loro le principali oppositrici di qualsiasi forma di liberalizzazione. Solo i Radicali da anni sostengono con convinzione l'abolizione degli Ordini professionali, unica operazione che consentirebbe non solo all'Italia di uscire dal grigio della politica dell'oggi, ma che aprirebbe le porte del lavoro a tanti giovani capaci ai quali oggi le porte sono chiuse loro per legge. Queste cose accadevano nell'era mussoliniana, purtroppo accadono anche oggi e certamente chi ama la democrazia e la libertà non ne può essere felice. Chissà se il “giornalista” Mario MONTI, tecnico prestato alla politica per rimediare ai guasti della partitocrazia, vorrà e saprà metterci le mani?