A cura dell'Avv. Gianfranco PARIS, Direttore responsabile del mensile MONDO SABINO:
<< Ho difeso la signora Succi Pierpaola ed i suoi familiari, costituitisi parte civile nel noto processo penale sui fatti di USTICA, per venticinque anni. Codifendo ora la sola signora Succi, insieme al collega Daniele Osnato, nella causa civile che lo stato italiano ci ha costretto ad iniziare davanti al Tribunale di Palermo.
Il 15 dicembre u.s. il Senatore Francesco Cossiga, sentito come teste in questa ultima causa, ha dichiarato testualmente: “ad abbattere il DC9 Itavia, per mero errore, sarebbe stato un aereo dell’Aviazione Marina Francese decollato da una portaerei al largo del sud della Corsica .... l’aereo francese aveva in realtà come missione l’abbattimento di un aereo che trasportava il Colonnello Gheddafi .... Ricordo anche che insieme all’Ammiraglio Martini (Direttore del SISMI) considerammo, a tal proposito, la circostanza che il radar italiano aveva battuto la traccia sulla diagonale di Olbia - e che - questa circostanza, infatti, rendeva plausibile che l’aereo fosse partito da una portaerei. Se infatti l’aereo fosse partito da un aeroporto sarebbe rimasta traccia della partenza. L’Ammiraglio durante il nostro colloquio mi riferì anche che sembrava che il pilota francese si fosse suicidato, dopo aver appreso che l’aereo civile italiano - e che - i francesi non gli avrebbero dato nessuna spiegazione o informazione".
Sempre il Senatore Cossiga ha aggiunto, per esserne stato informato dal Gen. Santovito (prima di Martini Direttore del SISMI) che “ i servizi italiani avevano salvato da un attentato Gheddafi perché era stato avvisato di non partire con l’aereo oppure di tornare indietro dopo essere partito.
Il 16 dicembre u.s. è stato sentito come teste anche l’On. Giuliano Amato il quale ha dichiarato di non essere stato informato direttamente della circostanza che l’aereo ITAVIA fosse attribuibile ai francesi, ma ha precisato: “è vero però che negli ambienti che si occupavano della questione circolavano queste voci come, del resto, altre".
L’On. Amato ha inoltre aggiunto che a fine settembre 1986 ricevette una lettera dall’Ammiraglio Martini nella quale si ponevano dubbi sull’opportunità di affidamento del recupero del relitto dell’aereo ITAVIA alla società francese Ifremer poiché si temeva che quest’ultima fosse collegata ai servizi segreti francesi. Dal combinato disposto di queste dichiarazioni si evince chiaramente a chi debba essere chiaramente addebitata la responsabilità dell’abbattimento dell’aereo civile italiano.
Il Senatore Cossiga è stato anche sentito come testimone durante la causa penale nella quale erano imputati quattro generali per alto tradimento, poi prosciolti dalla Corte d’Assise di Roma per prescrizione a seguito di derubricazione del reato contestato nell’ipotesi minore di alto tradimento, ma non fece alcun cenno alle circostanze ora rivelate in sede di causa civile.
Subito dopo la sentenza della Corte d’Assise d’appello di Roma, che chiuse nel merito la vicenda processuale che aveva come base di partenza la sentenza istruttoria del Giudice Priore, (il ricorso per Cassazione dei PM fu ritenuto improcedibile), scrissi una lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sostenendo che dopo il fiasco del processo intentato per accertare la verità sarebbe stato opportuno che almeno il presidente della Repubblica inviasse delle scuse formali ai familiari delle vittime a titolo di risarcimento morale, atteso che il risarcimento civile era venuto meno a causa dei venticinque anni persi dietro un processo inutile. Mi rispose, al posto di Napolitano che credo non abbia mai letto la lettera, un consigliere per gli Affari della Amministrazione della Giustizia nel 2007, sola data ricavata dal prot., che erano in corso da parte della Procura della Repubblica ulteriori accertamenti per la riapertura delle indagini (27 anni dopo il fatto) e che alle provvidenze in favore dei familiari si era provveduto con la finanziaria del 2007.
Nessun accenno alla richiesta di scuse ai parenti che era la principale richiesta della mia lettera.
A questo punto è bene ricordare che solo dopo dieci anni dal fatto lo stato si ricordò delle famiglie “dei dispersi in mare” nel giugno del 1980 concedendo a titolo di regalia la somma di vecchie lire 70.000.000 a famiglia da dividere tra gli aventi diritto coniuge, ascendenti e discendenti in linea retta.
Da allora per altri 17 anni niente. Fino alla finanziaria del 2007 che ha previsto per i medesimi aventi diritto un assegno mensile di euro 1.033, più euro 200.000 meno i settanta milioni di vecchie lire già corrisposti, più alcuni benefici assistenziali, compreso il riconoscimento di contributi figurativi per incrementare il quantum della pensione ordinaria al momento della maturazione del diritto, il tutto sempre a titolo di liberalità, non a titolo di risarcimento del danno secondo i principi delle nostre leggi.
Lascio ai lettori la valutazione se quanto sopra possa considerarsi un risarcimento. Specie se pensiamo cha arriva ventisette anni dopo quando molte mogli o mariti, genitori e figli sono morti, tutta gente che ha visto trasformata in peggio la loro vita a causa del salvataggio di quella di Gheddafi!
Ma la cosa che lascia più perplessi è il modo come i vari organi dello stato hanno gestito questa tristissima vicenda.
Tutti sapevano nelle alte sfere del potere italiano come erano andate le cose, la nostra politica estera guidata in quegli anni dal divo Giulio giocava su due fronti, uno ufficiale filo americano ed uno ufficioso che aveva o scopo di accattivarsi le simpatie dei vicini e lontani del terzo mondo. Non si sa mai!
I responsabili dei servizi segreti hanno comunicato alle alte cariche come stavano i fatti, ma ufficialmente si è preferito depistare l’opinione pubblica dicendo che giustizia sarebbe stata fatta quando si sapeva che giustizia non si sarebbe potuta fare perché non si poteva dire nel 1980 al mondo, e soprattutto alla NATO, di aver salvato Gheddafi, e ai parenti della vittime che quel salvataggio era costato la vita dei loro cari.
Non sarebbe stato meglio dire subito a tutti che l’incidente era stato causato da un fatto che non poteva essere rivelato perché era in gioco l’interesse nazionale, chiedere scusa ai parenti delle vittime e concedere subito un sostanzioso risarcimento del danno che avrebbe consentito ai familiari di non veder modificata in peggio la loro vita? Tra l’altro questo atteggiamento avrebbe salvato la vita di alcuni testimoni dell’accaduto addetti ai servizi di sorveglianza del cielo che durante l’istruttoria del processo penale avevano cominciato a parlare e che sono morti in circostanze oscure.
Sarebbe stato possibile questo comportamento in Italia? Evidentemente no. Allora tutti questi signori che hanno taciuto hanno sulla coscienza il fatto di aver alimentato la speranza di conoscere la verità, sapendo che non sarebbe stato possibile, sulla morte degli ottantuno italiani che si trasferivano incolpevolmente da Bologna a Palermo e che sono stati immolati sull’altare dei buoni rapporti Italia-Libia.
E chi s’è visto s’è visto >>.