L’Associazione dei Comuni della Valnerina, negli ultimi cinque anni, ha dato attuazione ad un intenso ed articolato programma di valorizzazione turistico-culturale del territorio, al quale è stato affidato l’obiettivo di promuovere la conoscenza dei valori identitari e della storia dell’intero comprensorio. Una delle finalità principali del programma è stata quella di realizzare prodotti editoriali di comunicazione e servizi informativi finalizzati a sostenere sia il recupero ed il rafforzamento dell’identità locale che le attività turistiche e culturali dell’area che hanno sempre più bisogno di incorporare, nelle proprie proposte produttive e commerciali, i valori profondi del territorio in cui si trovano ad operare. Nel programma di ricerca sulle tradizioni popolari, patrocinato dal STA - Servizio Turistico Associato, è stato dato alle stampe un ultimo volume dal titolo “Le piante e il sacro. La percezione della natura nel mondo rurale della Valnerina", il cui autore è l’antropologo Mario POLIA (nella foto). La pubblicazione, che sarà presentata in anteprima a Cascia, il prossimo 30 ottobre, in occasione della 10^ Mostra Mercato dello Zafferano Purissimo, segue la sua trilogia “Fra cielo e terra: religione e magia nel mondo rurale della Valnerina”. La nuova opera prende in considerazione una serie di quarantacinque piante, alcune usate a fini rituali (magici o religiosi), altre dotate di caratteristiche peculiari riconducibili a una dimensione mitica che, fin dall’antichità, accompagna la percezione e l’uso di certe specie vegetali. Lo studio non prende in considerazione l’impiego medico delle piante selezionate, sebbene un’indagine approfondita sulla medicina tradizionale di questa zona dell’Umbria si rivelerebbe di grande interesse. Come promesso dal titolo, l’indagine è stata limitata alla sfera del sacro e circoscritta a quelle specie di cui le ricerche sul campo hanno potuto documentare con sufficiente chiarezza la vigenza dell’uso, o il ricordo degli usi che delle stesse si facevano quando la cultura rurale era ancora funzionale.
Le specie, considerate a seconda della loro funzione, sono state suddivise in piante apotropaiche, dotate del potere di proteggere dai malefici (come l’agrifoglio, il pungitopo, il ginepro e il timo serpillo) e dal fuoco celeste, come l’acero campestre, o l’olivo benedetto apposto alle croci piantate agli inizi di maggio nei campi seminati; cereali e legumi usati in certe ricorrenze liturgiche per la preparazione di pasti comunitari (come il farro, il grano e le fave) o prescritti come cibo rituale in occasione di alcuni eventi specialmente sacri, come le fave consumate “per devozione” nel giorno d’Ognissanti, o i fagioli usati, in alcuni luoghi assieme alle fave, per preparare la tradizionale “acqua cotta” di Natale. Un capitolo a parte è stato dedicato alle piante “solstiziali”, poste a macerare in acqua di fonte, in occasione del solstizio estivo, ed esposte alla notte per preparare “l’acqua di San Giovanni” utilizzata per eseguire i lavacri propiziatori coi quali s’inaugura la celebrazione della festa, evento carico di significato, pregno d’una speciale, intensa sacralità “solare” che impregnava l’aria e la rugiada notturna ridestando ed esaltando il potere terapeutico delle erbe, dei fiori, delle acque e della natura tutta. Alla stessa categoria “solstiziale” appartengono piante e frutti usati per celebrare il solstizio d’inverno, come il grande ceppo natalizio tagliato dalla quercia, il ginepro con cui si fabbricavano le torce, nocciole, noci e fichi che prolungano nei secoli le usanze romane dei Saturnalia e delle strenae. Una serie di piante (come il bosso usato nei giochi fanciulleschi in occasione della Pasqua, il pioppo bianco e il ciliegio “sposati” per la celebrazione del “maggio” nursino, l’iride aggiunta alla croce piantata nei campi di frumento a protezione dalla folgore e dai malefici, l’acetosella consumata dai bimbi in occasione della festa dell’Ascensione e persino la quercia, in uno speciale ambito volto a propiziare la fecondità della donna) sono state assunte, dal contado, a segni espressivi dell’alternarsi delle stagioni e, in senso più ampio, a simboli dell’eterno ritorno. Invece, una serie di piante è stata prescelta a simboleggiare l’amore nelle sue alterne fasi di trionfo e declino, come le pere, pegno d’amore offerto alle ragazze il 2 d’agosto, giorno del Perdono d’Assisi. L’amore tradito, nei costumi del contado, è oggetto di pubblico scherno e, per esprimere questo sentimento che, fino a tempi abbastanza recenti, non indulgeva alla pietà, si usavano simboli vegetali come il fico e l’edera. Questi, nella loro valenza fausta, esprimono, rispettivamente, il potere generatore e il vincolo tenace dell’amore, ma, i fichi spiaccicati al suolo e l’edera divelta e gettata in terra, si prestano efficacemente a esprimere il contrario. Proprio come la pula del grano, la “cama”, che, pur rivestendo il chicco fecondo, non partecipa del suo potere generatore e per questo, sparsa al suolo, esprime la riprovazione verso l’amore che non ha dato frutto. La sterilità, nella società contadina tradizionale, è il crimine più grave di cui possa macchiarsi l’amore. Tra le piante associate all’amore vi sono, inoltre, quelle usate dalle ragazze in età da marito per ottenere l’atteso responso di prossimi, felici sponsali. Un posto a sé stante spetta alla mandragora, o “bambolina”, di cui abbiamo potuto documentare l’uso (ormai rarissimo) in contesti rituali volti alla propiziazione della ricchezza, ma non l’impiego amoroso che, pure, è tradizionalmente associato a questa pianta dalla radice antropomorfa e dallo strabiliante curriculum che, attraverso millenni, spazia dal magico al demoniaco. Non mancano, nel repertorio, le piante assurte a simboli della Passione di Cristo, come la rosa canina dalla quale sarebbe stata intrecciata la corona di spine, o lo “spino di Giuda” utilizzato, secondo una tradizione più recente, al medesimo scopo. Per quanto riguarda altre piante, come il sambuco, permangono i severi tabù che ne vietano l’arsione nel focolare domestico ma non la ragione che li motivava. Di altre ancora, come la “sanguinella”, perdura l’associazione con la Passione ma non se ne conosce più il perché. La comparazione, spesso, permette di integrare le lacune poiché il sambuco, un po’ dovunque in Europa, è l’albero prescelto come forca da Giuda, mentre certi legni, usati per bastonare il Redentore, hanno assunto in permanenza il colore del sangue. Estendendo le comparazioni indietro nel tempo, fino a giungere all’antichità greca e romana (cioè, per esempio, a Dioscoride e Plinio, come si è fatto in questo libro) si scopre che l’attribuzione a certe piante di qualità numinose, o magiche da parte del contadino umbro, costituisce un retaggio plurisecolare, come pure l’uso di altre (vedi le fave d’Ognissanti) evidenzia la derivazione da antichi contesti rituali quali le offerte ai Lemures e ai Manes. Lo studio degli usi contadini delle piante, inquadrato nel contesto più ampio della percezione della natura, permette d’intendere come, nella cultura rurale (e nelle culture tradizionali) l’estensione spaziale e temporale non rappresenti un continuum, ma sia percepita nella sua fondamentale non-omogeneità che alterna e oppone, a spazi e tempi “deboli”, luoghi e tempi straordinari perché partecipi del sacro in modo più intenso, come i momenti “forti” del ciclo liturgico e i tempi festivi dedicati ai santi patroni dei villaggi e delle attività agricole e pastorali, o i luoghi oggetto di culto e pellegrinaggi: le grotte eremitiche, i santuari, le tombe dei santi e dei beati, i camposanti dove gli avi dormono il lungo sonno che precede il giudizio. Interruzioni del quotidiano e occasioni di feste celebrate comunitariamente erano pure i momenti pregnanti del ciclo agricolo (alcuni di essi non privi di sacralità) come la tosatura delle greggi, il ritorno dalla transumanza, la mietitura, la trebbiatura, la vendemmia, l’uccisione del maiale e l’assaggio del vino nuovo. Per quanto riguarda l’apparato iconografico, è stato specialmente curato riproducendo le splendide incisioni cinquecentesche tratte dall’opera del MATTIOLI. Ad esse s’accompagnano riproduzioni fotografiche e tavole esplicative delle singole specie mentre una ampia ed eloquente rappresentazione fotografica dell’oikos offre al lettore gli scenari della Valnerina, invitandolo a una lettura del territorio che svela come l’opera dell’uomo si affianchi a quella della natura e incessantemente la trasformi. L’opera, coordinata e diretta dal Servizio Turistico della Valnerina ed edita dall’Editore Quater, è stata cofinanziata dal GAL Valle Umbra e Sibillini nell’ambito del PSL “Le valli di Qualità”.