di Gianfranco PARIS
Lo ha affermato a chiare note il giovane Sindaco di Rieti Simone PETRANGELI nelle vesti di un novello generale CUSTER dal palcoscenico del teatro VESPASIANO, tramutato per l'occasione in una specie di Little Bighorn dell'ultima resistenza sabina contro se stessi. Una cosa da lasciare interdetto chiunque segua con un minimo di interesse la ingloriosa fine che sta facendo la Provincia di Rieti. A conclusione di un pomeriggio usato con poco profitto, la classe politica locale in carica non ha trovato di meglio che approvare un documento nel quale gli amministratori locali si sentono impegnati a contrastare con ogni mezzo e in ogni sede il progetto di riordino delle Province italiane e ottenere una deroga a salvaguardia della Provincia reatina; a garantire l'unità del territorio attuale anche prendendo in considerazione diversi assetti territoriali e, qualora si dovesse morire viterbesi, l'imperativo sarebbe “vendere cara la pelle”, appunto come il generale CUSTER contro gli indiani nei pressi del torrente Bighorn. Francamente da un giovane Sindaco che la città di Rieti ha eletto per uscire dal tunnel di una oscurità durata 18 anni, c'era da aspettarsi di meglio. Ma tant'è. Vediamo ora perché la battaglia annunciata dal proclama finale è una battaglia persa. Sostenere a questo punto che in via prioritaria per salvare l'istituto provinciale reatino bisogna contrastare, in ogni sede e con ogni mezzo, l'attuazione del progetto di riordino varato dal Parlamento italiano con una norma in deroga, ha il sapore di una vera e propria “butade”.
Sarebbe come rinunciare alla applicazione di tutta la legge approvata con tanta fatica in Parlamento. Figuratevi che cosa succederebbe in Parlamento al momento della votazione di una tale deroga. Ci sono Province in tutto il territorio nazionale che vantano motivi assai più di noi a favore di deroghe e allora, chi ci difenderà in Parlamento? Forse i parlamentari del PD o del PdL? Ma se sono loro che hanno impedito fino ad oggi che si applicasse correttamente la legge del 1990!?!? In un sol caso Rieti potrebbe salvare Palazzo d'oltre Velino, se il Governo rinunciasse alla riforma e perdesse la faccia di fronte a tutti gli italiani. Certamente poco probabile. I politici reatini hanno rinunciato alla esistenza dello istituto provinciale da molto tempo perché i loro dirigenti nazionali li hanno zittiti con minacce di non farli più eleggere perché la Sabina fa comodo all'Aera metropolitana romana per lo sviluppo di servizi di periferia. Affermare oggi che bisogna contrastare con ogni mezzo e in ogni sede l'evento ormai ineluttabile suona come una vera beffa! Il secondo punto del proclama finale del teatro VESPASIANO raccomanda di tenere stretta l'unità del territorio attuale anche prendendo in considerazione diversi assetti territoriali. Questa seconda affermazione appare più sensata della prima, ma per realizzarla bisognerà crederci veramente e sono convinto che degli attori del VESPASIANO non ci crede nessuno. Ma vediamo che cosa si potrebbe fare realmente. Garantire l'unità del territorio ha un senso solo se la si collega alla possibilità di entrare in toto in un consesso amministrativo più ampio, ma omogeneo, che consenta alla Sabina di uscire dal Lazio, in un contesto regionale dove sia per estensione del territorio che per popolazione andrebbe a contare realmente. Con il Lazio Rieti non conta niente, come non contano niente Viterbo, Latina e Frosinone. Sostengo fin dal 1990, epoca della legge 142 sul riordino degli enti locali, che l'occasione dell'area metropolitana era quella buona per scorporare la città di Roma dal Lazio e creare una regione Lazio fatta con le quattro province allargate con il territorio di quella di Roma. Hanno vinto i “potenti” di Roma e a noi non resta che prenderne atto. Andare con Viterbo, come finirà certamente in un primo momento, è la peggiore delle soluzioni. Alla Sabina conviene essere aggregata al territorio dell'Umbria per molte ragioni. Molte delle quali sono state scritte in questi giorni e non sto a ripeterle, magari lo farò in un ulteriore approfondimento. In Umbria saremmo adeguatamente rappresentati in consiglio regionale, oggi in quello romano non contiamo niente, come non contano niente le altre Province. Ma soprattutto avremmo come termine di paragone per il nostro sviluppo, quello degli umbri che, rispetto al nostro, è di due spanne più elevato. Per rendersene conto basta farsi una passeggiata alle porte di casa: “Quatter pass in galleri” direbbero a Milano! Questo è possibile farlo perché l'ultima legge di riforma costituzionale consente, previo referendum, il passaggio da una provincia e da una regione all'altra. prima era impossibile perché occorreva a monte una legge di modifica della costituzione. Oggi è possibile ed è l'unica via per uscire dal cul de sac nel quale ci siamo ficcati a causa di venti anni di inattività e prostrazione ai desideri dei potenti romani. Sempre al VESPASIANO i lavori sono stati conclusi con l'imperativo che, se si dovesse morire viterbesi, si dovrebbe vendere cara la pelle! Che facciamo? Rimettiamo il cancello di ferro a Porta Cintia, riarmiamo i bastioni delle mura cittadine, ribattezziamo la rocca comunale con il fatidico nome Big Horn e aspettiamo che MONTI & C. ci facciano la pelle? Suvvia non esageriamo: demagogia si, ma fino ad un certo punto. E soprattutto senso della realtà. A meno che urlare non serva a coprire la mancanza di idee chiare e la impossibilità di operare perché impediti dai potenti romani. Personalmente penso che abbiano ragione Marino FORMICHETTI & C. a sostenere il referendum per entrare in Umbria. Come corollario si potrebbe cominciare a pensare anche ad una riforma dell'assetto regionale italiano con il varo di macro regioni come quella composta da Marche, Umbria e Sabina, che sono territori omogenei e con interessi economici simili, che insieme potrebbero veramente fare concorrenza alla Emilia-Romagna, non vi pare?!?! Ma ricorderemo l'affermarsi di cotanto senno?