di Gianfranco PARIS
Si è tenuto giovedì scorso presso la sede della UIL di Terni l'annunciato convegno “Terni Rieti: le ragioni per un territorio” (nella foto). Vi ho partecipato attivamente con il compito di trattare le ragioni storiche e culturali di una possibile scelta dei cittadini della Provincia di Rieti per reagire alla incomprensibile decisione governativa di accorparci tout court alla giurisdizione amministrativa di Viterbo, territorio che presenta caratteristiche economiche e sociali molto diverse dalla nostre e che, a causa della distanza, creerebbe serissimi problemi di utenza a tutti gli abitanti della Sabina. Anche la Provincia di Terni si trova in analoga situazione a quella di Rieti perché lo stesso decreto la accorpa alla Provincia di Perugia, con la conseguenza che la Regione Umbria, in caso di applicazione del decreto governativo, diventerà una Regione con una sola Provincia, rendendo con ciò un cattivo servigio agli scopi della istituzione regionale. Diciamo che Rieti e Terni si trovano a scomparire per legge, così come per legge diventarono entrambe Province nel 1927 quando il Governo MUSSOLINI decise di scorporarle dalla Provincia di Perugia aggiungendo per Terni la zona dell'orvietano, prendendola dalla Tuscia, e per Rieti il territorio dell'Abruzzo Ultimo dell'Alta Valle del Velino prendendola dall'aquilano. Sembra un vero paradosso: un regime dittatoriale scompone e un regime repubblicano ricompone! Esattamente il contrario di quello che normalmente succede nelle epoche storiche di riferimento. Ma tant'è.
Per venti anni ho sostenuto che la Sabina, a causa del suo accorpamento al Lazio, dopo i primi benefici derivanti dalla necessità di trasferire in loco gli uffici direzionali di una provincia che si sono verificati durante il ventennio del Governo MUSSOLINI, in età repubblicana era caduta in un grave stato di squilibrio del suo territorio rispetto al resto del Lazio. E ciò per vari motivi. Il più importante dei quali certamente la presenza della capitale del Paese, rispetto ai problemi della quale il resto del Lazio non poteva che passare in seconda linea nella attenzione di coloro che posseggono le leve decisionali del Governo italiano. In particolare il nord est della regione, cioè la Sabina tutta, per la sua posizione geografica posta tutta intera nella zona pedemontana della fascia centrale dell'Appennino alle falde dei Sibillini e del Gran Sasso d'Italia. Territorio che dagli anni cinquanta in poi ha subito una forma di grave spopolamento che ne ha depauperato le energie allontanando la presenza dell'uomo, senza della quale non è possibile concepire alcuna forma di sviluppo. In secondo luogo per la carenza di una classe politica locale capace di concepire una strategia di contenimento e di creare in sostituzione proficue alternative di sviluppo. L'aver puntato negli anni '70 sullo sviluppo industriale, con la nascita del Nucleo Industriale Rieti-Cittaducale, con il conseguente abbandono dello sfruttamento di qualsiasi altra risorsa naturale quali la montagna per le sue implicazioni di carattere economico come l'allevamento di ovini e bovini e il bene natura per le sue implicazioni turistiche, si è rivelato, al lume della situazione odierna, più dannoso che utile. Oggi infatti che l'industrializzazione si è rivelata illusoria, appare difficile ritornare sui propri passi per riformare quel tessuto economico necessario per garantire a coloro che sono rimasti adeguati mezzi di sostentamento. Tutto questo ha generato uno squilibrio territoriale di gravissima entità, scavando un fosso grande come un grande lago tra la realtà della città di Roma e il nostro territorio. L'Ente locale che avrebbe dovuto provvedere ad elaborare una opportuna politica di riequilibrio del territorio è la Regione, concepita appunto dalla mente del legislatore come ente locale il più idoneo a comprendere le esigenze dei vari territori della penisola e rimediare con politiche ad hoc restituendo armonia di sviluppo allo intero paese. Ma la Regione Lazio conteneva nella sua stessa struttura il germe della impossibilità che tale fatto accadesse. La stragrande parte della popolazione vive a Roma città, ed è questa che fagocita la rappresentanza nel parlamentino regionale a tutto danno delle altre province i cui rappresentanti sono in stretta minoranza numerica e decisionale. In particolare Rieti la cui rappresentanza è limitata ad uno solo consigliere che, in caso di riduzione del numero, come si preannuncia, sparirà dal Consiglio regionale. La cosa è talmente evidente che anche un sordo ne sentirebbe gli stridenti echi. Le cose sembravano poter registrare un colpo di timone con la riforma prevista dalla legge 142/90, quella sul riordino degli enti locali la quale prevedeva la formazione delle città metropolitane da scorporare dalle regioni consentendo alle altre province di ergersi a enti territoriali omogenei. Ma quella legge non è stata mai applicata perché rompeva le uova nel paniere degli interessi dei partiti maggiori che a Roma hanno tutti gli interessi più importanti. Per costoro Roma città metropolitana dovrà avere a disposizione tutto il territorio del Lazio, necessario per dare sfogo alla spartizione dei sostanziosi interessi che vi sono concentrati alla barba delle esigenze delle popolazioni limitrofe. Anzi, le zone periferiche sono le più adatte per scaricare lontano dal centro il più possibile tutto il negativo che la gestione di una metropoli comporta. Così oggi siamo arrivati al decreto del Governo MONTI che per il momento accorpa Latina a Frosinone e Rieti a Viterbo, ma che prelude presto alla destinazione di tutto il Lazio all'Area metropolitana di Roma anche per la innaturalità degli accorpamenti concepiti. In particolare quello di Rieti a Viterbo, città quest'ultima lontana e non omogenea alla realtà socio economica della Sabina. Il Comitato “Terni-Rieti in Umbria” è nato per reagire a questa infamia voluta dai dirigenti dei partiti nazionali e avallata da quelli locali ai quali è stata promesso il solito buon odore della fettina di mortadella. Circolano già gli organigrammi di coloro ai quali sono stati promessi il seggio di deputato, quello di assessore regionale e di candidato al consiglierato regionale se ci sarà il posto. Essi oggi hanno il compito di tenere a bada tutti i quadri politici e amministrativi della Sabina perché accettino il fatto compiuto del provvisorio accorpamento a Viterbo. E fin'ora ci sono riusciti. Infatti nelle due assemblee dei sindaci della Sabina, tranne qualche voce contraria come Antrodoco, che guarda a L'Aquila, e Contigliano che guarda all'Umbria, tutti hanno fatto dichiarazione di obbedienza. La situazione è grave. E chiaro e certo che questa gente ci condurrà nel mattatoio romano. Bisogna quindi reagire. Il Comitato “Terni-Rieti in Umbria” intende reagire a questa situazione, in mancanza della protezione politica tradizionale dei partiti, intende appellarsi al popolo. Un modo ancora poco sperimentato qui da noi. Ma credo che sia arrivato il momento di sperimentarlo. E propone che sia indetto un referendum per verificare se i cittadini tutti della Sabina vogliono sottostare al dictat dei partiti o se invece non vogliano andare in Umbria dove, in unione a Terni, accorpata anch'essa a Perugia, non possa pretendere di formare una seconda provincia umbro-sabina accanto a quella di Perugia. A Terni giovedì scorso si è parlato di questo, e mercoledì 21 novembre a Rieti, a Palazzo DOSI, in Piazza Vittorio Emanuele, oggi sede della moritura provincia di Rieti, alle ore 12 si terrà la conferenza stampa di lancio della raccolta delle firme per il referendum. Io credo ci siano molti motivi per partecipare. Magari in un prossimo articolo ne spiegherò le ragioni.