di Domenico BENEDETTI VALENTINI

In questi giorni l’intero complesso della Procura della Repubblica di Spoleto - con la sintonica collaborazione dei capi e del personale degli Uffici, dell’Ordine degli Avvocati, del Comune e della Fondazione Cassa di Risparmio - si è trasferito nel restaurato, degno palazzo di Piazza Fratelli Bandiera, segnando un passo fondamentale di quella “cittadella giudiziaria” che fa di Spoleto uno degli esempi più virtuosi in Italia di accogliente ed efficiente dotazione logistica. Qualche problema di attrezzature e di mezzi per il traffico dei fascicoli dovrà essere definitivamente risolto, così come resta aperto il tema irrinunciabile dell’integrazione dell’organico di magistrati e personale sul quale inspiegabilmente Tribunale e Procura, oggi posti al servizio dei 220.000 abitanti di Spoleto, Valnerina, Foligno e Todi-Marsciano, ancora non vedono correggere totalmente l’errore ministeriale di sottostima originario. In attesa di una più solenne inaugurazione e ringraziando sinceramente quanti mi hanno inviato messaggi e riconoscimenti, devo dire che sì, sono innegabilmente orgoglioso di aver operato perché si invertisse un destino che sembrava storicamente ineluttabile, che la sede giudiziaria di Spoleto sempre rozzamente minacciata di chiusura, fosse al contrario promossa a polo di tutta la fascia centrale della regione ed elemento condizionante dello stesso futuro della Corte d’Appello dell’Umbria.

 

Solo i superficiali e gli inconsapevoli, infatti, possono ancora non capire che un Distretto giudiziario come quello di Perugia, di soli 900.000 abitanti scarsi, si consolida soltanto su due direttrici: il rafforzamento contestuale e parallelo di tutti e tre i superstiti Tribunali umbri e il progetto del “riequilibrio” territoriale, cioè un processo consensuale di ampliamento del Distretto a quelle aree confinanti con l’Umbria che sono alla ricerca di una collocazione più soddisfacente rispetto alla attuale geografia giudiziaria. Va detto però che questo straordinario odierno risultato, che ricade a fortissimo beneficio del servizio giustizia e del potenziale economico-sociale di un così vasto territorio, non è frutto solo di preziose collaborazioni e importanti rapporti guadagnati con anni di impegno nel mondo parlamentare e professionale, ma ancor più di una modernità progettuale applicabile a tutto il reticolo giudiziario italiano. Il principio che l’attività giudiziaria, se si guarda al vero interesse dei cittadini, non va accentrata in troppo poche e troppo grandi sedi ingovernabili, ma ben diffusa su poli ben funzionali e accessibili da avvocati, operatori, utenti e forze dell’ordine, è stata la mia tesi tenacemente sostenuta con valenza nazionale contro una mentalità organizzativa dei servizi prettamente “metropolitana” che purtroppo, sospinta dai “poteri forti”, quasi sempre si impone.

Nella riforma delle circoscrizioni di cui parliamo, riuscimmo appunto ­- con la logica del servizio allargato a popolazioni più che raddoppiate - a rilanciare il Tribunale di Spoleto/Foligno/Todi e una decina di altri circondari italiani. Subimmo invece una pesante sconfitta con la soppressione di altri 30 Tribunali italiani, che i “governi tecnici” non seppero o non vollero incrementare con territori vicini aggregabili: tra questi il nostro amaro caso di Orvieto, la cui cancellazione - come ci affannammo a spiegare senza trovare concreti appoggi politici - non avrebbe comportato alcun reale risparmio a fronte di un imponente danno socioeconomico per il territorio. In questa occasione, pertanto, desidero rilanciare il messaggio che la rete diffusa e prossimale alle comunità sarebbe il principio da sposare e attuare ovunque, per migliorare tutti i servizi pubblici primari (anche sanità, scuole, aziende erogatrici, trasporti), valorizzando le molte città italiane oggi minacciate di marginalizzazione e salvando molti capoluoghi miopemente aggravati da irricevibili accentramenti e conseguente degrado della qualità di vita e di lavoro.