E' l'Europa oggi il fronte della nuova nazionalità. Giuseppe MAZZINI, il grande sconfitto del Risorgimento, lo aveva capito oltre 150 anni fa quando fondò la Giovine Europa.
di Gianfranco PARIS
Sono nato e vivo a Rieti, capoluogo della Sabina. Sono nato politicamente mazziniano, laico e repubblicano. Non milito più nel partito dell'edera da molti anni perché in quel partito ha prevalso il cinismo machiavellico delle persone ed si è perduto il senso dell'etica dello stato. Mi sento radicale, cioè sodale di Pannella, Bonino e tanti altri compagni radicali, perché sono gli unici laici in Italia a parlare di politica ponendo al centro della loro passione gli interessi della collettività. Oggi sono chiamato a partecipare alla Festa dell'unità nazionale. I miei padri sabini nel 1849 furono protagonisti della Repubblica Romana, la prima esperienza mondiale di democrazia repubblicana dell'era moderna che durò solo pochi mesi, ma che risplende ancora come fulgido esempio di repubblica fondata sul potere del popolo nel senso mazziniano del termine. I miei avi sabini parteciparono attivamente alla redazione della costituzione della Repubblica Romana andando a votare, per la prima volta nella storia, per la formazione della assemblea costituente e quattro di loro, quelli che furono eletti, la approvarono a nome di tutti noi.
Essi parteciparono ai fatti del Risorgimento nazionale vagheggiando un'Italia unita e repubblicana così come la volevano Mazzini e Garibaldi secondo i principi sanciti da quella costituzione, esempio luminoso di democrazia laica. Ma le cose andarono diversamente perché l'Italia non nacque sull'onda di questo disegno che richiedeva una specie di rivoluzione proveniente dal basso, come accadde con la rivoluzione francese della fine del '700, ma sull'onda della politica concreta del conte Camillo Benso di Cavour che seppe inserire il regno del Piemonte e di Sardegna nel gioco della politica internazionale del tempo. Il 17 marzo del 1861 il parlamento di Torino, che era il Parlamento di questo regno di cui era re Vittorio Emanuele II di Savoia, prese atto ed accettò i risultati dei plebisciti del primo nucleo di stati italiani che decisero di far parte di quel regno sotto la corona dei Savoia. Il Regno d'Italia fu proclamato in data successiva. Ed è bene ricordare che fino al referendum che decretò la fine della monarchia in Italia l'inno nazionale era l'inno dei Savoia, nel quale certo non si identificavano quei tanti italiani di sentimenti repubblicani. Quello attuale fu introdotto solo in epoca repubblicana dopo la seconda guerra mondiale. Quei plebisciti furono votati anche da tutti coloro, come gli abitanti dell'ex stato pontificio, che si erano battuti per la Repubblica Romana nel pensiero che essa fosse il primo nucleo intorno al quale aggregare il resto del territorio della penisola in un unico stato sovrano. E lo fecero per motivi di opportunità politica preferendo comunque uno stato unico ed indipendente, rispetto a tanti stati deboli e preda dei potenti dell'Europa del tempo. Così stando le cose, non mi pare che la data scelta per celebrare la Festa dell'Unità nazionale 150 anni dopo sia quella più felice per suscitare l'entusiasmo generale degli italiani di oggi. Essa ricorda comunque sentimenti diversi rispetto al concetto di unità. Se una tale data fosse stata scelta in era monarchica non ci sarebbe stato niente da ridire, ma oggi, dopo 65 anni di Repubblica, non mi sembra che essa sia la più felice per festeggiare l'Unità nazionale. Con ciò non voglio dire che non dobbiamo festeggiare. Anzi lo dobbiamo fare ancor di più perché per meschino calcolo di ”bottega politica” oggi nel nord si è sviluppato un movimento che tende alla separazione e che mette in discussione i valori fondanti della unità basandosi su una interpretazione degli eventi del risorgimento faziosa e volutamente distorta al solo servizio della demagogia elettorale. Oggi c'è ancora da sentirsi orgogliosi di essere italiani perché la nostra cultura è studiata e invidiata da tutto il mondo, perché la nostra genialità, anche se inficiata da una evidente sregolatezza, è simbolo ed esempio di creatività in tutto il mondo, perché, malgrado la politica che è il nostro anello debole da quando siamo nati e le scarse risorse economiche. siamo un popolo vivo e capace di sopravvivere al meglio partecipando al novero delle grandi potenze mondiali. Ma oggi la fierezza nazionale non può nemmeno somigliare per scherzo agli esempi del passato. Nella prima metà del secolo scorso la fierezza nazionale mal interpretata ed esasperata ha portato al fascismo e al nazismo, responsabili entrambi dello sfacelo della seconda guerra mondiale. Si può essere fieri di essere italiani, ma non per isolarsi, bensì per contribuire alla creazione di un grande stato federale europeo nel quale ogni nazionalità possa dare il suo contributo per migliorare nella pace la esistenza di tutti noi. Oggi il concetto di nazionalità si è ampliato. Si va verso un mondo multietnico, e nessuna legge Bossi-Fini potrà mai fermarlo, la prima cosa da fare è capire che il vecchio concetto di nazionalità non regge più. Si può essere italiani come prima e più di prima, ma sentirsi contemporaneamente europei. E' l'Europa oggi il fronte della nostra nuova nazionalità. Giuseppe Mazzini lo aveva capito più di centocinquanta anni fa quando fondò la Giovine Europa. Ma Mazzini è stato il grande sconfitto del Risorgimento! E' venuto il tempo di rimediare.