di Federica MANCINELLI
“La gente che viene ci chiede sempre: << Che ci state a fare qui, potreste andare a curare i malati, a fare tante cose … >> Tutti ce lo chiedono. E la risposta è: << Me lo chiedo anch’io >>. Nel senso che io perché Dio distribuisce le sue vocazioni proprio così non lo so … Lui lo sa. E io credo che ci vogliono un po’ di monaci, molti insegnanti, molti medici, e che Dio nelle sue chiamate equilibra tutto. Molti preti, e poi … gente al servizio ce ne vuole tanta … gente che risponde e sta attenta a Lui a nome di tutta l’umanità ne bastano pochi, ma qualcuno ci vuole …” (Padre Cesare FALLETTI, priore del monastero cistercense Dominus Tecum a Pra’d Mill, Bagnolo Piemonte, 2012). Il 31 Luglio del 1944, Antoine DE SAINT-EXUPÉRY, scrittore e aviatore francese, parte per la sua nona e ultima missione, con l’obiettivo di sorvolare la Regione di Grenoble-Annesy. Il giorno prima indirizza una lettera al Generale in comando, senza sapere ancora che sarebbe diventato il suo testamento spirituale. Verso la fine del testo egli scrive, a proposito della sua epoca e del disagio di vivere in un’Europa e in una società che non riconosce più: “… c' è un solo problema, uno solo per il mondo: ridare agli uomini un significato spirituale, inquietudini spirituali.Far piovere su di loro qualcosa che rassomigli ad un canto gregoriano. Se avessi la fede, stia certo che, superata quest'epoca di "mestiere necessario e ingrato", non potrei più tollerare altro che la vita monastica. Non si può vivere di frigoriferi, di politica, di bilanci e di parole incrociate, mi creda. Non più”. L’uomo è sempre lo stesso: cambiano i paesaggi, le scoperte, le tecnologie, le velocità. Ma i bisogni, i problemi e i desideri si ripetono e la sola cosa che aumenta è il bisogno di un “quid pluris”: quel “qualcosa di più” è solo e sempre un bisogno spirituale, anche quando sembra non esserlo. Quando è più di una persona, più di una comunità, più di una città, quando è un intero continente o, come ora, un intero pianeta a ricercare una sorgente di senso ed una fonte di vero progresso, allora non sarebbe ragionevole non guardare all’indietro, storicamente, laddove da una sola persona e da poche comunità, più di una città, più di un intero continente, a tratti un intero pianeta hanno ritrovato movimento e senso. Ci vuole un metodo, per farlo. Ci vuole un sistema condiviso, come per gli Stati così anche per i singoli, che possa riorganizzare la vita, individuale e sociale, attorno ad un unicum che renda efficaci e non distruttive le epoche di crisi, cioè di cambiamento, come quella attuale. Nel 1963, Pavel EVDOKIMOV, uno dei più grandi filosofi e teologi russi del ‘900, morto in Francia nel 1970, tiene una conferenza al convegno per la celebrazione del primo millennio di fondazione del Monte Athos. In quella occasione egli presenta la sua teoria del “monachesimo interiorizzato”: egli sostiene che “se un tempo il monachesimo tutto centrato sulle cose ultime ha cambiato la faccia del mondo, oggi esso fa appello a tutti, ai laici come ai monaci, e propone una vocazione universale. Si tratta per ciascuno di un adattamento, di un equivalente personale, dei voti monastici”. I laici come i monaci: concetto nuovo, piuttosto strano, certamente interessante. Come può essere la vita di un gruppo di uomini, certamente molto minoritario nel mondo, essere applicata a quella distante, frenetica, quasi opposta, della maggioranza degli abitanti della Terra? E perché? Nei Detti dei Padri del deserto c’è un grande insegnamento di un maestro a un discepolo che gli chiedeva di essere istruito nella via della perfezione: “Non dirò niente. Fai, se lo vuoi, ciò che mi vedi fare”. Ciò è richiesto a ciascuno, qualunque abito egli o ella indossi: nella lettera a Paolo ASAN, San Gregorio consiglia “di perfezionare il proprio stile, non di cambiare abito”. E San Tikhon di Zadonsk scriveva alle autorità ecclesiastiche: “Non siate impazienti di moltiplicare i monaci. L’abito nero non salva. Colui che porta l’abito bianco e che ha lo spirito di obbedienza, di umiltà e di purezza, costui è un vero monaco del monachesimo interiorizzato”. Quello che è certo è che non ci sono alibi, né per i monaci né per i laici. Oggi non c’è bisogno di ritirarsi nel deserto: il deserto si è spostato nel cuore dei popoli, “i monaci non hanno più bisogno di abbandonare il mondo”. Ma non hanno più alibi nemmeno i laici: non bastano quegli uomini in abito scuro che, più degli altri, fanno l’unità. Anzi, “la loro ortodossia non si irrigidisce in divieti, ma apre tutte le vie. Con la loro adorazione e i loro canti di lode essi non escludono nessuno, ma invitano tutti e ciascuno a diventare ‘adulti’”. Ecco allora il programma per “diventare adulti”, che unisce un giovane di Norcia alla ricerca di Dio, un pilota di guerra stanco del mondo, ma anche “molti insegnanti, molti medici e molti preti” e chiunque nella società, credente, non credente o alla ricerca, sia stanco di non trovare il senso e sia desideroso di ritrovare una responsabilità: un “monachesimo universale”, un metodo adatto a tutti, una via comune, può rendere più unita e uniforme una società frammentata e dispersa, fra un abbandono voluto delle radici e l’abbandono di sé a tutte le correnti. Un programma di self-leadership, diremmo oggi: prima infatti di voler e poter essere leader degli altri, bisogna necessariamente esserlo di se stessi. La Regola di San Benedetto è così un manuale di leadership individuale e quindi di etica delle organizzazioni: essa, infatti, potrebbe oggi essere riscritta usando il moderno linguaggio dei sistemi di gestione, senza modificare in minima parte la sostanza. Essa contiene in sé il primario concetto di leadership umile e spirituale (quella necessaria all’individuo, essenziale punto di partenza); indica le regole della vita comunitaria (che oggi sono le regole del benchmarking, del self-assessment, dell’accountability, del problem solving), applica le regole della gestione del tempo ed esalta il valore e i valori del lavoro: gestione del gruppo, armonia, team leadership, autorealizzazione. La Regola anticipa i concetti di democrazia, ascolto, principio maggioritario, scrutinio, rappresentanza. La Regola inventa un linguaggio e oltrepassa la dimensione religiosa, fino a creare nuove forme di vita civile, economica e sociale. Il “fortissimum genus” benedettino non è nato da un programma politico, la Regola Monachorum non è stata una creazione editoriale studiata a tavolino per cristiani convinti, ma entrambi sono nati e cresciuti da un primo invito a persone diversissime fra loro a camminare insieme. Benedetto è per tutti, il monachesimo è universale, lo stile di vita dei “monaci e delle monache che cantano i salmi di notte”, pregano, lavorano e studiano, è quel mondo nuovo che non solo loro possono inventare, ma un po’ per ciascuno, a partire da sé, tutta l’umanità: “non si può vivere di frigoriferi, di politica, di bilanci e di parole incrociate”. Non più.